Duomo Cattedrale di Teramo
La cattedrale di Teramo fu costruita tra il 1158 e il 1174 nell’area vicino all’anfiteatro romano, a circa cento passi dall’antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, distrutta pochi anni prima dal conte Roberto di Loretello che nel 1155 mise Teramo a ferro e fuoco. La costruzione avvenne in più fasi, la parte più antica fu costruita dal vescovo Guido II e corrisponde alla porzione dell’attuale cattedrale che va dall’ingresso fino al punto in cui il pavimento si rialza. Successivamente dal 1332 al 1335 il vescovo Niccolò degli Arcioni ampliò la chiesa costruendo il prolungamento delle navate che va oltre la zona del presbiterio e la nuova facciata.
La primitiva cattedrale costruita dal vescovo Guido II era in stile romanico, aveva tre navate, facciata a salienti, copertura a capriate; era preceduta da un nartece a tre fornici, al quale, si accedeva mediante alcuni scalini. Tra il 1331 e il 1335 il vescovo Nicolò degli Arcioni (1317-1355), fece trasformare profondamente l’edificio, prolungandolo nella parte settentrionale con un nuovo corpo di fabbrica, leggermente disassato rispetto alla parte anteriore più antica che perse le tre absidi.
Il vescovo Guido II, visto che la primitiva cattedrale di Santa Maria Aprutiensis non poteva essere più ricostruita perché troppo grave la sua rovina, decise di costruire la nuova cattedrale distante 150 m dalla vecchia a ridosso dei resti dell’anfiteatro, reimpiegando anche materiali provenienti dai vicini resti monumentali romani. Dopo le distruzioni effettuate dal conte di Loretello, Roberto II di Basnulla, il presule teramano per convincere i cittadini sopravvissuti alle distruzioni a rimanere nel 1165 pubblicò un editto che concedeva immunità e franchigie.
Il vescovo Giacomo Silverio Piccolomini sull’onda della Controriforma, nel 1566 fece demolire gli altari laterali per concentrare l’attenzione dei fedeli su quello maggiore. Nel Settecento intervenne il vescovo Tommaso Alessio de’ Rossi che, grazie alla maestria dell’architetto Lazzaro Giosaffatti, introdusse le decorazioni dello stile barocco all’interno e volle la grande Cappella di San Berardo, patrono della città. Negli anni ‘30 l’interno della cattedrale fu spogliato dagli stucchi barocchi e riportata alla nuda pietra medievale, tranne che per la cappella di San Berardo.
La nuova basilica arcioniana risulta leggermente fuori asse rispetto all’edificio romanico per gli ostacoli frapposti da costruzioni che nel frattempo si erano addossate alla chiesa sul lato meridionale. Tra il 1331 e il 1335 vengono costruite due ampie campate scandite da una coppia di snelli pilastri su cui s’impostano arcate trasversali e longitudinali, rispettandone la tripartizione e il perimetro delle navatelle ma innalzando sensibilmente le quote del tetto.
Gli affreschi che si trovano ai lati della cattedra lignea settecentsca, ai lati dell’ingresso arcioniano, sono attribuiti a un artista attivo in Abruzzo nella metà del secolo XIV e definito come Maestro di Offida. Le scene dipinte rappresentano alcuni episodi delle «Storie di Sant’Eligio», particolarmente degna di nota è la scena che racconta il miracolo del Santo maniscalco francese che per sedare un cavallo posseduto dal diavolo gli taglia la zampa e poi dopo averla ferrata la riattacca. Sant’Eligio è qui rappresentato nell’atto di ferrare la zampa amputata mentre il cavallo attende con l’arto monco e sanguinante.

Nel dopoguerra furono demolite anche tutte le case private che nel corso dei secoli erano state costruite, l’una sull’altra, addossate alla cattedrale, fu inoltre distrutto anche l’Arco di Monsignore, un grande arco di pietra che univa il campanile con il palazzo dell’arcivescovado consentendo il passaggio del vescovo e dei canonici in cattedrale.
La cripta
La cripta, oggi chiusa ma in parte visibile per mezzo dell´oblò posto nel centro della zona del presbiterio, è rimasta nascosta fino ai lavori di risistemazione del pavimento conclusi nel 2007. Di forma rettangolare è accessibile mediante otto scalini, si estende fino all´innesto della nave arcioniana; probabilmente presentava una copertura a botte sorretta da colonnine, venne adornata nel quattrocento con affreschi di cui oggi rimangono le flebili tracce delle figure di due santi. In una nicchia è ricavato un altare decorato con un affresco tardo cinquecentesco raffigurante gli strumenti della passione di Cristo. Nel 1566 fu destinata dal presule Giacomo Silveri Piccolomini alla conservazione delle reliquie del Santo patrono S. Berardo, e rimase in uso fino al XVIII sec. quando venne dismessa e riempita.
Cunicolo bizantino
Il cunicolo di epoca bizantina si innestava nell’angolo Nord – Est della cripta e portava al vicino palazzo vescovile, consentiva ai Vescovi e ai Canonici del Capitolo di arrivare in Cattedrale senza passare in strada.
Le reliquie di San Berardo
Il corpo di san Berardo è custodito nella tomba che si trova nell’altare della Cappella di San Berardo. Fanno eccezione due sole parti del corpo del santo, custodite all’interno dei due reliquiari d’argento, il «braccio benedicente» (secolo XVII) e il busto (secolo XVI), conservati in una cassetta di sicurezza ed esposti al pubblico in occasione della festa del santo.
Portale
Lo splendido portale a tutto sesto, con strombatura a tre sbalzi intercalati da due colonne tortili su ogni lato e decorati da fasce a mosaico in stile cosmatesco, è datato 1332 e firmato da Deodato romano: «MAGISTER DEODATUS DE URBE FECIT HOC OPUS MCCCXXXII». Due colonnine che poggiano su leoni stilofori affiancano il portale e sorreggono due eleganti statue, un Angelo Annunciante ed una Vergine. Al centro dell’architrave è visibile lo stemma del vescovo Niccolò degli Arcioni tra quelli di Atri a destra e Teramo a sinistra. Le ante in legno cinquecentesco andarono distrutte e furono rimpiazzate da riproduzioni realizzate nel 1911 da Luigi Cavacchioli. Nella seconda metà del quattrocento sul portale fu posto un grande timpano gotico triangolare, con al centro una finestra rotonda sovrastata da un’edicola contenente una statua del Redentore che benedice, e a entrambi i lati due edicole, anch’esse a forma di guglia, che racchiudono le statue del Battista e del patrono San Berardo.
Crocifisso
IL Crocifisso ligneo per la sapienza anatomica che lo caratterizza sia nelle braccia e sia nei muscoli dell´addome, può essere attribuito a uno scultore del quattrocento. L´immagine del Cristo Patiens col capo recline sul petto, le palpebre dischiuse, il volto scavato e affilato, esprime un dolore intenso ma contenuto, in un distacco che accentua il solenne, grave messaggio che ne emana, e che è reso anche mediante l´integrità formale con cui il corpo si allunga quasi scivolando sulla croce con una levigata stesura di luce.
(Antepedium) Paliotto di Nicola da Guardiagrele
Questo magnifico paliotto si deve all’opera di Nicola da Guardiagrele, scultore e orafo abruzzese del XIV secolo. Nella prima formella, quella dell´annunciazione, troviamo una prima importante incisione, ovvero la presunta data di inizio dei lavori «Anno Domini 1433» oltre ad un Arcangelo che mostra alla Vergine un bambino al posto del consueto giglio; la data della conclusione dei lavori è invece riportata nella formella della deposizione con l´incisione «Opus Nicolai de Guardia Grelis Anno Domini 1448». Nelle formelle vengono narrate, attraverso immagini sbalzate a rilievo e a tutto tondo, le vicende del Nuovo Testamento, con l’aggiunta della scena di San Francesco che riceve le stimmate. Nella formella centrale, più grande rispetto alle altre, campeggia un Cristo benedicente con il libro in mano, attorno sono disposti a destra i quattro evangelisti e a sinistra i dottori della Chiesa mentre nei rombi smaltati sono raffigurati San Giovanni, la Vergine col bambino, Nostro Signore con l´orba terrestre, San Paolo, San Pietro, nove apostoli e otto profeti. Nei triangoli che corrono attorno alla massiccia cornice troviamo invece degli ornamenti floreali.

Bibliografia e Note
AAVV, Il Paliotto del Duomo di Teramo, a cura dell’Ente Provinciale per il Turismo di Teramo, testo di Renato Giani, Genova, Sigla Effe, 1964, e successive edizioni del 1969 e del 1978;
Angeletti Glauco, Teramo pavimenti marmorei e mosaici nel palazzo Melatino e nella domus di Bacco, in Aiscom XVII, Teramo 2011
Maria Cristina Mancini, Pavimentazioni e decorazioni musive italico-romane di Interamnia Praetuttiorum in Quad Archeo Abruzzo I, Firenze 2008
Mazzitti Walter, teramo archeologica, Teramo 1983.
Francesco Savini, Il Duomo di Teramo, storia e descrizione corredate di documenti e di 19 tavole fototipiche, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1900, e ristampa anastatica, a cura del Rotary Club di Teramo, 2000;
Mario Pomilio, La Cattedrale di Teramo, in Abruzzo. La Terra dei santi poveri, a cura di Dora Pomilio e Vittoriano Esposito, Sant’Atto di Teramo, Edigrafital, 1997, vol. I,
Domus di Bacco
In occasione dei lavori di costruzione di un edificio civile lungo Via dei Mille a Teramo sono stati portati alla luce alcuni ambienti di una domus romana databili al I secolo a.C. L’ambiente più grande presenta una pavimentazione in cocciopesto con inserzioni di lastre marmoree. Un secondo ambiente conserva un mosaico in bianco e nero: ad un’ampia fascia perimetrale a tessere bianche segue una cornice a tessere nere e al centro una decorazione a motivo a losanghe a composizione stellare. Nel terzo ambiente è presente un mosaico con tessere bianche e fascia perimetrale nera. Al centro si trova uno pseudo-emblema in vermiculatum policromo in cui è raffigurato Bacco a mezzo busto. Il volto del dio è quello di un giovane, egli è coronato da pampini e le sue spalle sono avvolte dalla pelle ferina. I mosaicisti hanno utilizzato tessere dai colori luminosi,non solo litiche ma anche di pasta vitrea, prevalgono differenti sfumature di rosato e d’arancio per il volto, mentre tracce di azzurro e verde per la realizzazione dei pampini e della ferina. L’immagine di Bacco è racchiusa da una doppia cornice a tessere nere e con meandro interno rosato su sfondo bianco. La soglia d’ingresso presenta un mosaico a tessere bianche e nere con motivi geometrici: la cornice rettangolare a doppia fila di tessere nere racchiude losanghe inserite tra due pelte affrontate.
Domus del Leone
La domus fu scoperta nel 1891 durante i lavori di ristrutturazione del proprio palazzo dal noto studioso F. Savini, è del tipo ad atrio tetrastilo ovvero con quattro colonne per sorreggere il tetto che faceva confluire le acque piovane nella vasca centrale (impluvium).
Il mosaico pavimentale dell’ambiente principale, il tablino costituisce uno dei più significativi esempi di mosaici di I sec. a.C. in Italia, esso è costituito da un tappeto con quaranta cassettoni prospettici dai molteplici colori, campiti al centro da rosoni, fiori e corone di alloro, che incorniciano il quadro centrale composto da una cornice con motivo di treccia a calice policroma, con orlo curvo e divisione verticale, a cui segue un’altra cornice composta da una ricca ghirlanda di foglie, fiori e frutti (castagne, uva bianca, melograni, susine, pere), popolata da uccelli e retta agli angoli da quattro maschere teatrali (se ne conservano due). Negli scavi sono state rinvenute numerose decorazioni architettoniche di pregio tra cui spicca un fregio dorico a triglifi e metope a testimonianza della ricchezza della domus e dell’importanza del proprietario. La zona della città in cui è situata è comunque vicina alla viabilità principale ed è ricca di edifici residenziali di pregio. Quasi tutti i motivi decorativi dei mosaici pavimentali della domus trovano confronti con altri siti di età tardo repubblicana e giulio – claudia, consentendo una datazione abbastanza precisa del periodo di costruzione della domus. Il vero capolavoro è il quadro centrale del mosaico, costituito da un emblema che rappresenta un leone raffigurato leggermente di scorcio, in posizione di attacco mentre artiglia con la zampa un serpente. L’emblema del Leone è montato su una cassetta quadrata di travertino di piccole dimensioni (cm 54,5×54,5) è stato realizzato in bottega con tessere minutissime (opus vermiculatum) che creano un favoloso effetto pittorico, e poi messo in opera nel sito attuale.
Domu s di Piazza Sant'Anna Largo torre Bruciata
I lavori di scavo dell’antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis hanno permesso di individuare a una profondità di circa un metro rispetto al piano di calpestio della cattedrale un edificio romano databile al I sec. a.C. La domus è composta da un ampio peristilio a pianta rettangolare con murature in opera incerta e un portico con colonne di mattoni, rivestite di stucco dipinto di un rosso acceso, la vasca è in posizione decentrata rispetto all’ambiente ed è pavimentata in opus spicatum. La domus è composta da altri tre ambienti affiancati quello centrale comunica direttamente con il peristilio tramite una soglia in pietra presso la quale sono stati rinvenuti sia gli incassi dei cardini sia i serramenti metallici della porta. Il pavimento è in battuto cementizio a base litica incorniciato da una fascia mosaicata di colore nero, i muri presentano intonaci dipinti con campiture geometriche su fondo bianco al cui centro sono presenti motivi vegetali stilizzati. L’ambiente meridionale il cui muro esterno fu ripreso in fondazione dalla Cattedrale, presenta una soglia in pietra che immette nel peristilio, la pavimentazione è composta da un battuto cementizio a base fittile con inserti litici, i muri sono decorati con intonaci dipinti di fondo bianco con leggere campiture geometriche in giallo e ocra. L’ambiente in fondo allo scavo sul lato settentrionale, ha il suo ingresso verso l’esterno e comunica con l’ambiente centrale, il pavimento è in battuto cementizio a base fittile con l’inserto di tessere bianche che formano un motivo decorativo composto da un reticolato di losanghe. Le pareti sono decorate da meravigliosi intonaci dipinti su fondo rosso con campiture geometriche e decorazioni vegetali. I materiali rinvenuti durante lo scavo permettono di stabilire una frequentazione della domus che va dal I sec. a.C. e il II sec. d.C. quando fu abbandonata.
Domus di Palazzo Melatino
Tra IV e VI secolo il mosaico dell’ambiente centrale viene ricoperto da un pavimento in lastre di calcare bianco e marmo giallo, rettangolari e quadrate. Ai lati della stanza si trova una fascia decorativa in marmi colorati a motivi geometrici. Sulla soglia di collegamento con il secondo ambiente viene collocato con un mosaico bianco e nero di reimpiego con un motivo a svastica (simbolo che nell’antichità era carico di valore apotropaico). Una terza stanza alla destra dell’ambiente centrale viene arricchita con un pavimento a base cementizia con frammenti marmorei colorati. Al centro vengono sistemate lastre quadrate marmoree colorate (gialle bianche e nere) in cui viene inserita una lastra circolare di marmo nero.
Domus di Largo Madonna delle Grazie
Negli scavi di largo Madonna delle Grazie è stata identificata una domus di II sec. a.C. di cui rimangono un ambiente che presenta una pavimentazione in battuto cementizio a base fittile con inserti di tessere bianche che formano un motivo decorativo a reticolato o a doppio meandro, un’altro ambiente presenta una pavimentazione simile sempre in opus signinum con inserti di tessere di marmo che formano una decorazione più complessa, con clipeo centrale suddiviso a rombi e quattro delfini agli angoli. L’ultimo ambiente rimasto della domus mostra una pavimentazione sempre in battuto cementizio a base fittile con inserti di tessere litiche che formano una decorazione con un clipeo centrale a motivi geometrici e con quattro caducei agli angoli.















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